Fisco più equo e difesa del potere d’acquisto degli italiani
Serve un nuovo patto fiscale per l’Italia. Non una semplice riforma del sistema tributario, non solo un programma di semplificazione e riduzione della asfissiante pressione fiscale, divenuta un freno alla crescita della Nazione, ma una sfida molto più ambiziosa: inaugurare una nuova era nei rapporti tra Fisco e contribuenti, ispirata alla reciproca fiducia e al riequilibrio dei rapporti tra cittadini e Stato.
Ridurre la pressione fiscale su imprese e famiglie attraverso una riforma all’insegna dell’equità: riforma dell’Irpef con progressiva introduzione del quoziente familiare; estensione della flat tax per le partite Iva fino a 100mila euro di fatturato; introduzione della flat tax sull’incremento di reddito rispetto alle annualità precedenti, con la prospettiva di un ulteriore ampliamento per famiglie e imprese; progressiva eliminazione dell’Irap e razionalizzazione dei micro-tributi.
Cedolare secca al 21% anche per l’affitto degli immobili commerciali in zone svantaggiate e degradate. Innalzamento del limite all’uso del denaro contante, allineandolo alla media dell’Unione europea. Basta con la miope politica dei bonus, da sostituire con misure stabili e durature. Tax expenditures: revisione e razionalizzazione del sistema di detrazioni, deduzioni e agevolazioni.
Proteggere il potere d’acquisto di lavoratori e famiglie: detassazione degli straordinari e delle “mance” del settore turistico e della somministrazione; riduzione delle tasse sui premi produzione; potenziamento del welfare aziendale e innalzamento della soglia di detassazione dei fringe benefit; ampliamento della platea dei beni con Iva ridotta, in particolare con riferimento al carrello della spesa e ai prodotti per l’infanzia.
Stabilità della legislazione fiscale e divieto di introdurre norme fiscali retroattive. Garantire un fisco equo e non vessatorio partendo da un accordo Fisco-contribuente per il pregresso. Per le cartelle in essere: “saldo e stralcio” fino a 3mila euro per persone in difficoltà, e per importi superiori pagamento dell’intera imposta, maggiorata del 5% in sostituzione di sanzioni e interessi, e rateizzazione automatica in 10 anni. Per le situazioni che precedono la cartella esattoriale, la “Tregua fiscale” con la formula del 5+5: imposta definita attraverso una interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, sanzione forfettaria al 5% e rateizzazione automatica in 5 anni. Due diligence del magazzino riscossione dell’Agenzia delle Entrate per consentire la regolarizzazione del pregresso esigibile. Lotta all’evasione fiscale a partire da evasori totali, grandi imprese, banche e grandi frodi sull’Iva. Valutazione dei risultati e delle premialità sulla base degli importi effettivamente incassati e non delle semplici contestazioni. Riforma del contenzioso tributario e cancellazione dell’inversione dell’onere della prova; introduzione del concordato preventivo con il Fisco anche per le piccole imprese, gli artigiani, i commercianti e i professionisti; riunire la disciplina normativa della materia tributaria in un unico codice.
FOCUS
La dignità dei professionisti e la loro tutela sono diritti sanciti dalla Costituzione che all’art. 36 riconosce il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del proprio lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Ad oggi, mentre il dibattito sul lavoro si è fossilizzato sul salario minimo, che appare evidentemente uno specchietto per le allodole, considerato che per il lavoro dipendente è già ampiamente garantito dalla contrattazione collettiva, troppo spesso si dimentica la tutela delle libere professioni, che invece non posseggono alcuno scudo.
Fratelli d’Italia ha invece raccolto l’istanza delle professioni ad avere per legge un compenso minimo adeguato alle prestazioni fornite, non solo per difendere il lavoro di chi offre una prestazione professionale per cui ha dovuto investire anni di studio e professionalizzazione, ma anche per salvaguardare i diritti dei cittadini ad ottenere servizi di qualità. All’adeguatezza della remunerazione si accompagna il concetto della sua certezza, ossia della necessità di adeguate tutele per i professionisti in tema di recupero dei propri crediti. Sulla base di queste fondamentali premesse si è lavorato instancabilmente per arrivare all’approvazione della Legge sull’equo compenso.
L’equo compenso è la battaglia di tutti i liberi professionisti, contro chi vuole calpestare un diritto costituzionalmente garantito per mantenere rendite di posizione e regolamentare in modo inappropriato l’attività economica dei professionisti.
Il principio per cui ci battiamo è quello della giusta e dignitosa remunerazione della prestazione: le prestazioni professionali vanno remunerate adeguatamente, senza contrattazioni al ribasso che mortificano il lavoro svolto.
In questi ultimi dieci anni, dall’eliminazione delle tariffe stabilita dal governo Monti (che affonda le sue radici nel decreto Bersani sulla liberalizzazione delle professioni del 2006, a seguito del quale pur conservando le tariffe si disponeva che si sarebbe potuto andare a ribasso sul minimo tariffario) si sono verificate situazioni paradossali in cui i professionisti, pur di lavorare, sono stati costretti ad accettare compensi minimi, a volte quasi simbolici.
Questo è accaduto soprattutto nel rapporto con le grandi società di capitali, banche, assicurazioni e con la Pubblica Amministrazione (contraenti forti), scatenando una squallida guerra al ribasso. Si ricordano casi clamorosi come quello del professionista che fu pagato un euro per la redazione del nuovo regolamento urbanistico del comune di Catanzaro, ma ancora, recentemente, pubbliche amministrazioni hanno messo a bando servizi legali per i comuni ponendo a base d’asta cifre ridicole (50 € a pratica legale).
Era stata incardinata al Senato una proposta di legge (AS 2419), a prima firma Giorgia Meloni, che originava dall’accorpamento del testo base Meloni del 2018 con alcuni pezzi degli altri disegni di legge di modifica dell’equo compenso. Tutto l’impianto mirava a ridisegnare la disciplina introdotta nel 2017 per far fronte all’abolizione delle tariffe intervenuta, come detto, agli inizi del 2012 ad opera del governo Monti. La proposta di legge avrebbe potuto essere approvata nel corso di questa legislatura, ma la sinistra, che da sempre considera i liberi professionisti come “figli di un Dio minore”, dopo averne reiteratamente ritardato l’iter, in questi ultimi giorni di legislatura l’ha definitivamente affossata, nonostante questa fosse stata già aprovata all’unanimità alla Camera.
Tuttavia, l’equo compenso sarà uno tra i primi atti che il partito porterà avanti qualora dovesse essere chiamato dai cittadini al governo della Nazione.
La proposta prevede, tra le altre cose, la conformità del compenso ai parametri definiti dai decreti ministeriali, specie nei confronti dei committenti forti, applicando così una adeguata tutela contrattuale del professionista che è il contraente debole, là dove troppo spesso hanno prevalso logiche di mercatismo spinto, che hanno rasentato la slealtà, indulgendo verso un deprecabile meccanismo economico finanziario che ha cannibalizzato il mercato delle libere professioni.
Fratelli d’Italia intende sancire una tregua fiscale con i cittadini, in modo da consentire loro di regolarizzare il rapporto con il fisco e poter tornare ad essere lavoratori e contribuenti che partecipano alla ricchezza complessiva della Nazione.
In attesa del completamento della due diligence del magazzino della ex Equitalia, occorre disporre l’automatico stralcio integrale di posizioni assai datate (perlomeno ante 2015) e di importo inferiore ai mille euro, nonché consentire il cosiddetto “saldo e stralcio” dei debiti verso l’Erario non superiori a 3mila euro; al di sopra di tale soglia, occorre dare al contribuente la possibilità di regolarizzare la propria posizione pagando la quota capitale del debito, con sanzioni minime del 5% e senza interessi, con possibilità di accedere a una rateazione a 10 anni.
Fratelli d’Italia non vuole condoni. Vogliamo, però, che chi intende regolarizzare la propria posizione con il Fisco possa farlo pagando tutto il dovuto, con sanzioni minime e in tempi congrui. Chi ha debiti attuali o potenziali con il Fisco, in qualunque stadio e fase del rapporto tributario, ma non ha potuto onorarli – vista anche la crisi di liquidità provocata dalle emergenze sanitaria ed economica – potrà rimettersi in bonis pagando per intero le imposte dovute (con possibilità di rateizzare il proprio debito in un lasso temporale di 5 anni), senza, però, l’aggravio di sanzioni troppo spesso inique e sproporzionate e che dovranno essere ridotte al minimo (5%). Insomma, si paga tutto ma con la “regola del 5”: 5% di sanzioni e 5 anni per pagare. Potrà accedere al beneficio:
- chi non è in lite con il fisco ma intende regolarizzare la sua posizione (ad esempio, coloro che non hanno presentato le dichiarazioni dei redditi o le hanno presentate con talune irregolarità, oppure chi ha ricevuto questionari dall’Agenzia delle Entrate non ancora sfociati in alcuna contestazione formale). In tal caso, si potrà presentare (o ripresentare) la dichiarazione dei redditi, versando integralmente le imposte dovute, con applicazione di una sanzione minima del 5%, accedendo a una rateazione di 5 anni
- chi ha già ricevuto una formale contestazione (processo verbale di constatazione, avviso di accertamento, etc.) potrà mettersi in regola presentando un’apposita istanza per accedere all’istituto (già applicato) dell’accertamento con adesione. Quindi, verrà versata l’imposta, come risultante dal contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, con una sanzione minima del 5%, accedendo a una rateazione di 5 anni
- chi è già parte di una lite con il fisco, ancora pendente in ogni stato e grado del giudizio, potrà presentare un’apposita istanza per accedere all’istituto (già applicato) della conciliazione giudiziale (che verrebbe, tuttavia, esteso anche al giudizio dinanzi la Suprema Corte di Cassazione). Infine, verrà versata l’imposta, come risultante dal contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, con una sanzione minima del 5%, accedendo a una rateazione di 5 anni
- unicamente per le liti fino a 200mila euro, pendenti in ogni stato e grado di giudizio (anche in una logica deflattiva del contenzioso tributario di cui si dirà in seguito), dovranno essere previsti abbattimenti forfettari del quantum dovuto a titolo di imposte che tengano conto degli esiti processuali, con stralcio di interessi e applicazione di sanzioni, anche in questo caso al 5%, accedendo a una rateazione di 5 anni
Fuori dai casi precedentemente illustrati, chi non può accedere agli istituti di cui sopra (ad esempio, soggetti destinatari di avvisi bonari e cartelle di pagamento) potrà pagare tutto il dovuto a titolo di capitale (imposte, ma anche contributi previdenziali), senza interessi e ulteriori oneri accessori, con applicazione di sanzioni del 5% e accedendo a una rateazione in questo caso di 10 anni.