Agroalimentare pilastro del sistema Italia
L’agricoltura è uno dei pilastri della nostra Nazione, occorre proteggerla e svilupparne le potenzialità, nel giusto equilibrio tra uomo e ambiente. Esempio di eccellenza, è un patrimonio inestimabile e costituisce il fulcro del marchio italiano e valore dell’economia reale. Proteggere la terra e chi la lavora restituendo impulso al settore e tutelando l’intera filiera agroalimentare.
Rilanciare la produzione e la qualità dell’agroalimentare, della pesca e degli allevamenti di qualità italiani. Contrasto all’introduzione di ogni strumento di classificazione dei prodotti pregiudizievole per l’agroalimentare italiano (Nutriscore), promozione della dieta mediterranea e dell’agroalimentare di qualità contro i cibi sintetici. Lotta ai fenomeni di concorrenza sleale che penalizzano il nostro marchio agroalimentare (Italian sounding). Investire in ricerca, dando impulso all’agroindustriale, fondamentale per l’innovazione e per la tutela della biodiversità. Stimolare il coordinamento con le istituzioni europee per limitare l’esposizione alimentare del continente nei confronti del resto del mondo. Contrasto alla proliferazione delle specie faunistiche in esubero, che producono danni alla biodiversità e all’agricoltura. Eradicazione della peste suina e sostegno agli allevamenti colpiti. Promozione di contratti di filiera che mettano al centro l’agricoltore e riducano la forbice tra costo di produzione e prezzo di vendita del prodotto. Stabilizzazione delle misure straordinarie adottate nell’ambito della crisi delle materie prime. Salvaguardia, tutela e razionalizzazione dei mercati agroalimentari, fondamentali piattaforme logistiche e di distribuzione. Efficientamento delle risorse idriche, predisponendo un “piano invasi” per combattere la siccità; riqualificazione e potenziamento delle reti idriche. Realizzazione di nuovi e più potenti dissalatori per produrre acqua a scopo agricolo. Sostegno al settore florovivaistico, comparto agricolo d’eccellenza. Valorizzazione e salvaguardia del settore pesca, dell’imprenditore e dei suoi marittimi, conservazione della massa ittica e salvaguardia delle produzioni nazionali.
FOCUS
Il sistema agroalimentare italiano vale oltre 500 miliardi di euro. Nel 2021, nonostante la crisi pandemica, le esportazioni hanno superato per la prima volta quota 50 miliardi, facendo registrare un record storico. Tuttavia, l’agricoltura italiana continua a poggiarsi su un sistema estremamente fragile e pieno di criticità, emerso prepotentemente dopo l’inizio della guerra in Ucraina.
Nonostante le nostre eccellenze, le caratteristiche territoriali, l’esperienza degli operatori del settore e i prodotti di altissima qualità, infatti, l’aumento dei costi delle materie prime, dei carburanti, dei fertilizzanti e gli effetti della pandemia hanno ulteriormente messo in difficoltà un settore che era già fortemente in crisi.
Tra le criticità con cui si trova a fare i conti il comparto agricolo e agroalimentare italiano ci sono la crescita vertiginosa del costo dei carburanti, esplosa in tutta la sua drammaticità già all’inizio del 2022 e la questione dei fertilizzanti, legata tanto al fatto che la Russia è uno dei nostri maggiori fornitori, quanto alla necessità di impiegare gas naturale, il cui prezzo era in aumento già prima della guerra, per produrli.
Oggi interi settori dell’agroalimentare, come pastifici e panifici, devono confrontarsi con il raddoppio del prezzo del grano e la sua penuria, determinata dal fatto che la maggior parte di questa materia prima arriva da Russia e Ucraina. A questo va aggiunto che la Cina, nella prima metà dell’annata agraria 2022, subito prima dello scoppio del conflitto, aveva già razziato il 69% delle riserve mondiali di mais, il 60% del riso e il 51% di grano con evidenti intenti speculativi che hanno portato ad una fiammata dei prezzi in tutto il pianeta.
In questo difficile contesto l’Europa si è mostrata particolarmente debole, esitando a mettere in atto una vera e propria programmazione cerealicola e lasciando spazio a queste condotte indecorose.
Secondo una recentissima stima del CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura che fa capo al Ministero delle Politiche agricole, l’agricoltura italiana pagherà un conto da 9 miliardi di euro per effetto delle tensioni internazionali. Finora, però, l’Ue è intervenuta con uno stanziamento di soli 500 milioni di euro per tutta Europa, di cui soltanto 48 destinati all’Italia. Una misura totalmente inadeguata, considerato che negli ultimi dieci anni hanno chiuso oltre 26mila stalle, pari al 50% del totale italiano. I costi per gli allevatori sono diventati insostenibili: per produrre un litro di latte, con gli aumenti esponenziali di foraggio, mais destinato agli animali, gasolio agricolo, urea granulare ed elettricità, oggi ci vogliono tra i 50 ed i 55 centesimi, mentre le quotazioni medie sono fissate proprio a 50 centesimi. Si tratta di cifre assolutamente insufficienti alla remunerazione degli imprenditori.
Il reddito netto delle aziende è sceso drammaticamente del 60%, con picchi in settori come la cerealicoltura, granivori e suinicoli, che supera l’80%. Più in generale, in media oltre il 30% delle aziende chiuderà l’anno con un reddito negativo. Prima della crisi del 2022 le aziende con difficoltà di questo tipo erano il 7%.
Questi numeri ci restituiscono la fotografia della crisi in cui versa l’agricoltura italiana, messa in difficoltà, oltre che dagli effetti nefasti della pandemia e della guerra russo-ucraina, anche da una crisi climatica che non lascia scampo. Basti pensare all’allarme siccità, con le precipitazioni dimezzate al Nord e un inverno che ha lasciato l’Italia con un terzo di pioggia in meno, o agli incendi favoriti dall’aumento delle temperature.
Per valorizzare e rafforzare prodotti essenziali della nostra tradizione alimentare e simbolo del Made in Italy nel mondo, come pasta e pane, occorre intervenire sulla filiera cerealicola con un piano complessivo che ne promuova il progressivo miglioramento in funzione di un prodotto finito di qualità sempre maggiore. Allo stesso tempo, i consumi di pane e pasta andranno incentivati anche con interventi straordinari di riduzione delle aliquote IVA che possano compensare gli effetti dell’inflazione e supportare le famiglie nell’acquisto di un bene di prima necessità.
Per sostenere la filiera è necessario rafforzare gli strumenti ministeriali dei Contratti di filiera e dei Distretti del Cibo, introducendo incentivi per le aziende agroindustriali di prima e seconda trasformazione, oltre che per i produttori agricoli, sostenere l’applicazione di disciplinari di produzione sostenibile, sviluppati anche da privati, anche tramite l’accesso ai relativi fondi della PAC per favorire il miglioramento qualitativo del grano italiano e l’adozione di tecniche di coltivazione più sostenibili come il carbon farming, supportare il miglioramento delle filiere di stoccaggio con l’ammodernamento delle strutture, sostenere la transizione dei produttori verso l’adozione di tecniche di agricoltura di precisione e di sistemi di supporto alle decisioni (DSS).
Vista la centralità strategica per il nostro Paese del comparto pastario e della relativa filiera, è necessario assicurargli il continuo approvvigionamento energetico, specie alla luce delle attuali tensioni geopolitiche e di mercato, nonché elaborare misure e investimenti per una corretta gestione delle risorse idriche – supportando l’impiego delle migliori tecnologie – a favore sia dei produttori agricoli sia delle aziende agroalimentari, specie alla luce degli attuali sprechi a livello nazionale, pari al 42% delle risorse idriche disponibili annualmente.
I mercati all’ingrosso e i “Centri Agroalimentari” italiani svolgono il ruolo strategico di piattaforme logistiche e distributive, oltre a costituire dei punti nevralgici della filiera agricola ed agroalimentare: veri e propri baluardi della distribuzione dei prodotti italiani, luogo di incontro tra domanda e offerta e di realizzazione della rete commerciale fra imprese nazionali ed estere, sede naturale della promozione del Made in Italy.
Purtroppo, però, la normativa in materia di mercati risulta lacunosa e per troppo tempo l’importanza della logistica e della distribuzione è stata dimenticata. Delle politiche serie di rilancio dell’agricoltura e del Made in Italy non possono non tenere in considerazione il ruolo fondamentale svolto dai mercati e dagli operatori. Dalla L. 41/86 non si provvede ad un intervento in materia. Non è sufficiente destinare risorse, ma occorre rivedere la disciplina di settore prevedendo un’armonizzazione strutturale del sistema di gestione della logistica e della distribuzione, occorre razionalizzare le risorse, provvedere all’ammodernamento delle strutture e trasformarle in piattaforme informatizzate e polifunzionali, valorizzare la loro naturale vocazione logistica, in modo da evitare sprechi e ritardi. Ogni riforma che abbia ad oggetto i mercati andrà pensata in senso infrastrutturale, con interventi che si raccordino armoniosamente con le politiche di intermodalità.
Aver abbandonato l’agricoltura a sé stessa, dismettendo addirittura alcune colture a vantaggio dell’importazione, è stata una scelta suicida, che ha determinato un’intollerabile dipendenza dall’estero.
Per Fratelli d’Italia è dunque necessario togliere il limite ai terreni incolti: occorre tornare ad avere più terra da coltivare, ponendo in essere un chiaro piano strategico di coltivazione; bisogna pianificare politiche nazionali, in particolare sui cereali, che puntino all’autosufficienza; chiedere un forte intervento europeo per la programmazione in favore delle aziende dell’agroalimentare.
Abbiamo un milione di ettari coltivabili, non è sufficiente quello che ci mette a disposizione l’Europa, serve una riforma della PAC che si liberi dall’ideologia della strategia Farm to Fork. L’Italia ha già una delle agricolture più sostenibili d’Europa, con emissioni di Co2 pari a 30 milioni di tonnellate per 74 miliardi di valore aggiunto, contro le 77 della Francia e le 65 della Germania.
Occorre promuovere piani di sviluppo rurale PAC nazionali e regionali che prevedano uno specifico sostegno economico alle piccole e medie imprese agricole che decidano di investire nell’agricoltura di precisione: fornire quindi sostegno a chi investe nell’acquisto di droni e centraline di rilevamento in grado di stabilire tramite sensori l’esatta necessità di acqua, la quantità indispensabile di fitofarmaci per la crescita sostenibile della coltura e le condizioni climatiche ideali degli impianti serricoli. Questi impianti sono coadiuvati da diffusori che provvedono a propagare le sostanze essenziali, evitando dispersione e sprechi. Incentivare le pratiche multicolturali tradizionali, tipiche del territorio italiano, attraverso piani ministeriali che prevedano un adeguato sostegno economico alle imprese che adottino questo modello agricolo, limitando il consumo dei suoli e incentivando colture autoctone.
Dobbiamo mettere in campo un piano europeo di monitoraggio del grano tenero, del mais e degli oleosi.
Occorre aumentare la resa delle produzioni attraverso un piano nazionale di coltivazione che non può prescindere da contratti di filiera chiari, che garantiscano al produttore un prezzo di vendita equo e competitivo.
È il momento di dare attuazione alla legge sulle pratiche sleali, affinché non venga schiacciato l’anello debole della filiera, ovvero il produttore.
Bisogna investire sull’innovazione e sulla ricerca in campo agricolo, gli unici investimenti in questa direzione sono stati fatti in autonomia dagli agricoltori, ma è fondamentale che lo Stato faccia investimenti seri, coniugando l’agritech con la storia e la tradizione della nostra Nazione.
È necessario porre un freno alla speculazione sulle materie prime come il grano, così come bisogna intervenire nell’immediato sul costo dei carburanti e dei fertilizzanti. Sui fertilizzanti bisogna poi trovare delle BIO-alternative. Oggi con gli impianti a biogas è possibile dare concime a 500mila ettari di terreno: incentivare questa pratica ridurrebbe l’uso dei fertilizzanti.
Per tutelare le colture inoltre serve lavorare sui bacini idrici (in Italia si stima che ne manchino circa 1.500) e occorre intervenire sullo spreco di acqua presso gli invasi soprattutto di collina e di pianura. In questo senso, come detto sopra, sarà necessario implementare gli impianti di irrigazione a goccia e le nuove tecnologie che consentono di razionalizzare il consumo di acqua. Sempre per ovviare al problema della siccità, bisogna riuscire ad ottenere un maggior numero di piantine e sementi selezionate per la loro resistenza alla mancanza di acqua.
Utilizzare i 1.500 miliardi di euro del Pnrr sul fotovoltaico sfruttando i tetti agricoli ci consentirebbe di produrre 4,23 milioni di metri cubi e 0,83 gigawatt, rendendo così le imprese molto più indipendenti anche sotto il profilo energetico.
È necessario poi dare serie risposte sulla garanzia del reddito in agricoltura, non solo per arginare eventi calamitosi avversi, ma anche nel caso di squilibri di mercato riferiti ai fattori produttivi, la forbice tra il costo di produzione ed il prezzo di vendita penalizza i nostri agricoltori e rende non remunerativo il lavoro.
Occorre rivedere la governance di gestione del legno e delle aree forestali, con l’introduzione di strumenti di mappatura a tecnologia infrarossa, con la finalità di creare vere e proprie mappe interattive, utilizzabili per il contrasto al dissesto idrogeologico, messa in sicurezza e manutenzione delle aree e una migliore razionalizzazione della produzione di questa risorsa.
Infine, è necessario lavorare sulla formazione incentivando percorsi di istruzione nell’ambito degli istituti tecnici superiori e delle scuole agrarie, per trasmettere, mantenere e tutelare le pratiche tradizionali tipiche dei territori rurali, contemperandole all’esigenza di adottare le nuove tecnologie dell’agricoltura di precisione e dell’agricoltura 4.0.
Sarà fondamentale anche rilanciare il mondo dei mercati all’ingrosso e dei centri agroalimentari all’interno del sistema, rivedere la normativa di settore e valorizzare le attività degli imprenditori all’ingrosso, anche in virtù del loro ruolo di promotori del Made in Italy.
Occorre ottimizzare le politiche di settore, per valorizzare una risorsa essenziale della nostra Nazione, la pesca, sulla base di alcuni principi fondamentali: la dignità dell’imprenditore e dei suoi marittimi, il rispetto e la conservazione dell’ambiente e della massa ittica, la salvaguardia delle produzioni nazionali e la loro valorizzazione, la salvaguardia e la promozione dell’economia nazionale.
Fratelli d’Italia, dopo anni di confronto con le associazioni di categoria ha formulato proposte concrete per la salvaguardia del settore.
Le azioni da intraprendere a tutela del comparto sono le seguenti:
– rimodulazione del rapporto con la Ue, con la revisione di regolamenti ormai obsoleti e lesivi dell’economia delle imprese di pesca italiane.
– revisione della flotta nazionale con un programma di sostegno per il suo rinnovo, con attenzione alle caratteristiche della grande pesca e della piccola pesca.
– revisione delle normative nazionali sulla pesca professionale e sulle attività collaterali.
– aggiornamento delle normative del codice della Navigazione riferite all’attività di pesca professionale.
– predisposizione di un piano regolatore nazionale della maricoltura (salvaguardia dell’ambiente e della salubrità delle produzioni).
– dare dignità ai lavoratori della pesca attraverso una formazione moderna e un contesto lavorativo dignitoso e sicuro.
– sostenere la produzione nazionale e controllare la salubrità delle importazioni di prodotti ittici dai paesi terzi.
La tutela del settore della pesca è fondamentale per far sì che il nostro mare torni ad essere risorsa economica e motore dell’economia italiana.
In un momento in cui la transizione ecologica guida l’agenda politica nazionale e internazionale, il comparto del florovivaismo si ritrova senza una legge quadro nazionale. Il governo dei migliori ha tenuto bloccato il testo quadro di settore per oltre un anno senza nessun motivo e non ha permesso la sua conversione in legge dopo l’approvazione in prima lettura alla Camera. Da qui l’impegno a ripartire subito per l’approvazione, al fine di rendere il settore competitivo
La legge nasce per dare il giusto riconoscimento a tutti i comparti del florovivaismo, per avere una normativa di riferimento specifica ed un perimetro giuridico unico a livello nazionale, che renda omogenee anche le diverse leggi regionali.
Un coordinamento permanente di indirizzo e orientamento per il florovivaismo esiste già ed è costituito dal tavolo tecnico. La legge quadro lo definisce meglio e lo istituzionalizza, con la realizzazione di un piano nazionale. Inoltre introduce la costituzione di un ufficio dedicato al settore presso il Ministero. Il florovivaismo ha molteplici sfaccettature – ornamentale, floricola, orticola, frutticola – e ognuna di esse ha problematiche, sistemi di produzione e investimenti differenti, oltre che mercati e dinamiche commerciali diverse. Occorre dunque definire meglio e in maniera più specifica questi organismi.
I marchi di qualità, infine, sono importanti per elevare gli standard dei prodotti e offrire un valore aggiunto alle produzioni, arginando meccanismi che livellino la qualità verso il basso.
Fratelli d’Italia, durante tutta la legislatura, si è spesa instancabilmente per l’approvazione della legge, coinvolgendo tutte le associazioni di categoria ed ascoltandone in Commissione agricoltura le istanze e le preoccupazioni. Oggi è arrivato il momento di rendere giustizia ad un settore troppo spesso dimenticato e che, anche in virtù del nostro clima che consente una grandissima biodiversità, deve tornare ad essere un’eccellenza mondiale.
Queste misure sono rivolte a chi andrà in pensione con il sistema contributivo e, a causa di salari bassi e discontinuità lavorativa, rischia di non avere i requisiti per la pensione o di percepire una pensione molto bassa:
- Abolizione dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. Sarà scongiurato l’incremento automatico dell’età pensionabile. Questo intervento sarà stabile e non momentaneo come in passato. L’età della pensione di vecchiaia sarà stabilizzata a 67 anni per uomini e donne anche dopo il 2024.
- Abolizione dell’attuale soglia pari a 1.5 volte la pensione sociale per avere diritto alla propria pensione di vecchiaia contributiva. Considerando che i lavoratori destinatari del metodo di calcolo contributivo puro sperimentano spesso assegni più bassi e non raggiungono il valore soglia introdotto dalla riforma Fornero, aspettando spesso l’età, insostenibile, di 71 anni, la riforma abrogherà questo requisito parificando tutti i pensionati di vecchiaia senza alcun requisito reddituale per potere accedere alla pensione.
- Integrazione al minimo anche per chi è nel sistema contributivo. Si rimedierà a questa ulteriore disparità secondo cui chi non ha versato contributi prima del 1996 non gode della tutela della integrazione al trattamento minimo (poco più di 520 euro mensili). Questo livello minimo di pensione sarà garantito a tutti, anche ai destinatari del metodo contributivo, entro determinate soglie di reddito familiare.
- Abolizione del minimo contributivo Inps per artigiani e commercianti. Sarà parificato il regime fra partite Iva iscritte alla gestione separata e ai titolari di impresa iscritti alla gestione artigiani e commercianti, eliminando l’obbligo di versamento contributivo anche in assenza di redditi, in modo da non appesantire gli autonomi di costi non sostenibili che portano a un indebitamento di imprenditori già provati da periodi privi di fatturato.
- Anticipo della pensione sociale a 60 anni per chi è in particolari condizioni di disagio. Sarà anticipata la decorrenza dell’assegno sociale rispetto all’età di vecchiaia a 60 anni, in presenza di soggetti il cui reddito familiare richiede un intervento di sostegno immediato, senza aspettare l’età della pensione di vecchiaia, disegnando un sistema di welfare pubblico tempestivo e non condannato ad attivarsi quando è ormai troppo tardi.
- Intervento sulle pensioni d’oro. sulla quota eccedente 10 volte la pensione sociale per le pensioni d’oro che non sono frutto di contributi effettivamente versati. Su tutte le pensioni che superano il valore di 5000 euro netti mensili sarà verificato se la parte eccedente i 5000 euro è frutto di contributi effettivamente versati o meno. Nel caso la parte eccedente non corrispondesse a contributi effettivamente versati si procederà a una proporzionale riduzione dell’assegno pensionistico.