A difesa dell’ambiente e della natura
“Io sono me più il mio ambiente e se non preservo quest’ultimo non preservo me stesso”, scriveva Ortega Y Gasset. Amare l’ambiente in cui viviamo non significa solo difenderlo dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento, dalla distruzione della biodiversità: è l’unico modo per salvare noi stessi e i nostri figli dalla scomparsa di tutto ciò che di bello c’è nel mondo e della vita come la conosciamo. Per questo o ci occuperemo dell’ambiente o tutto il resto non conterà.
Aggiornare e rendere operativo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Combattere la siccità e l’inquinamento delle nostre acque e, al contempo, ripulire fiumi e laghi. Salvare il mare e il litorale, proteggendoli dall’erosione costiera, bonificando coste e fondali da rifiuti ed ecomostri. Realizzare gli obiettivi della transizione ambientale ed ecologica del Pnrr salvaguardando il sistema produttivo colpito da anni di crisi, con particolare attenzione alle filiere industriali di difficile riconversione (ad esempio, l’automotive). Giocare un ruolo attivo e propositivo nei prossimi mesi in Europa durante i negoziati del pacchetto Fit for 55, con l’obiettivo di difendere e tutelare gli interessi del sistema industriale e produttivo nazionale. Piantare alberi per realizzare vere e proprie “cinture verdi” nelle città e promuovere la creazione, o il rifacimento, di giardini, orti urbani, parchi, boschi e riserve naturali da dare in gestione alle associazioni e in adozione alle scuole. Inasprimento delle pene, anche pecuniarie, per i piromani. Rafforzamento del trasporto pubblico e della mobilità sostenibile, incentivi all’efficientamento energetico degli immobili residenziali e commerciali.
Promuovere in Europa la politica dei “dazi di civiltà” nei confronti dei prodotti provenienti da Stati extra Ue che non rispettano i nostri standard di tutela dell’ambiente. Tutela del paesaggio e del territorio da incuria, abbandono e da rischi sismici e idrogeologici. Chiusura del ciclo dei rifiuti e introduzione del principio per cui “più differenzi meno paghi”. Progressiva sostituzione dei prodotti inquinanti con altri biodegradabili e promozione delle forme di riciclo-riuso, come il vuoto a rendere. A tutela degli animali: inasprire le pene per i reati contro gli animali; campagne di formazione e informazione sul loro rispetto; fermare la tratta illegale dei cuccioli provenienti dall’Est Europa; riconoscimento del ruolo sociale e terapeutico degli animali d’affezione. Tutela delle specie e della biodiversità valorizzando il sistema delle aree naturali protette. Salvaguardia della cultura rurale e delle attività che ne sono portatrici. Contrasto deciso al bracconaggio.
FOCUS
Dobbiamo cercare di riorientare il percorso per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal Green Deal Europeo e in particolare da Fit for 55 e RepowerEu facendoci promotori di un nuovo approccio alla sostenibilità, fondato sulla individuazione di target di riduzione delle emissioni realisticamente raggiungibili, da realizzarsi con il pieno coinvolgimento delle nazioni maggiormente inquinanti, facendo sì che l’onere della transizione ecologica sia equamente distribuito tra tutti gli attori e limitando gli effetti distorsivi sulla concorrenza. In questo nuovo quadro, sarà necessario valorizzare il principio della neutralità tecnologica e della valutazione degli impatti inquinanti sulla base dell’intero ciclo di vita (Life Cycle Assessment), per non condannare intere filiere produttive di importanza strategica per l’Italia.
Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Pnacc), adottato da quasi tutte le Nazioni europee, è necessario per prevenire e ridurre il rischio climatico e i suoi effetti in maniera efficace e realistica.
In Italia ce n’è uno, pronto dal 2017, che però non è mai stato approvato e messo in funzione. E i risultati purtroppo si vedono. Coinvolgeremo università, enti di ricerca ed esperti per aggiornarlo e renderlo operativo il prima possibile
L’Italia dovrà recitare un ruolo da protagonista nel contrasto a livello comunitario del dumping ambientale, attraverso l’inserimento di dazi sui prodotti realizzati con materiali e modalità non allineati agli standard ambientali richiesti alle nostre imprese. È una concorrenza sleale inaccettabile
È necessario intervenire immediatamente per risolvere la crisi idrica. Per farlo è necessaria una mappatura rapida della situazione attraverso il censimento dei bacini di ogni distretto idrografico e delle reti idriche, con il coinvolgimento degli organismi centrali e territoriali competenti (MIMS, MITE, MIPAF, enti locali, autorità di bacino e autorità d’ambito). Serve, poi, un’indagine tecnica (geologica, geografica, sociologica, glaciologica), un’analisi dei modelli correnti di valutazione della salubrità delle acque, l’individuazione delle captazioni abusive ed eventuali gestioni illecite a opera della criminalità organizzata. Fondamentale è, poi, l’utilizzo delle risorse marine a fini irrigui attraverso la desalinizzazione e il contrasto alla dispersione idrica attraverso interventi di manutenzione ed efficientamento delle reti.
Il rapporto con le comunità locali è fondamentale. Le loro istanze potranno essere valutate nell’ambito di tavoli interistituzionali per intraprendere le azioni urgenti di contrasto e prevenzione. Da questi studi sarà necessario elaborare un Piano d’Azione Nazionale che preveda una serie di interventi.
Lo scenario attuale di profonda crisi idrica rende necessario un approccio duplice: tattico-congiunturale da un lato, per fronteggiare le emergenze attraverso razionalizzazione e condivisione delle risorse fra bacini, stabilendo ove necessario anche indennizzi finanziari mirati (soprattutto per le imprese agricole); strategico-strutturale dall’altro, per dotarsi di una Politica Idrica Nazionale che definisca priorità di uso delle risorse idriche disponibili, favorendo interventi infrastrutturali di medio-lungo periodo, volti ad aumentare la capacità di accumulo, ottimizzando così la gestione della risorsa acqua. Bisogna implementare la creazione di piccoli invasi diffusi omogeneamente sul territorio, di cisterne o di siti sottomessi (ad es. cave in disuso), privilegiando il completamento e il recupero di strutture già esistenti. L’Italia, per carenze infrastrutturali “endemiche”, trattiene solo l’11% dell’acqua piovana e le reti idriche hanno il più alto tasso di dispersione d’Europa. È quindi necessario risolvere la questione anche intervenendo in maniera decisa sugli sprechi.
Con circa 8mila km di coste a disposizione, si possono realizzare micro-impianti di dissalazione con minimo impatto ambientale e paesaggistico. Questi impianti possono garantire adeguati volumi di acqua da destinare a usi diversi da quello potabile, oltre a contribuire alla regolazione del cuneo salino dei fiumi (a partire dalle foci). Ove possibile si realizzeranno impianti più grandi e capaci di fornire acqua dolce anche a zone più vaste.
Stando alle stime, è in ambito domestico che si verifica una delle maggiori situazioni di spreco della risorsa idrica: promuoveremo delle campagne di sensibilizzazione e informazione sull’utilizzo consapevole dell’acqua, mostrando agli italiani come sia possibile coniugare le esigenze quotidiane con la conservazione di una risorsa così preziosa.
Cogliendo l’occasione data dal basso livello delle acque, provvederemo a lanciare un piano straordinario di bonifica e pulizia dei fondali di laghi e fiumi per migliorare la qualità delle acque e al tempo stesso limitare le esondazioni.
La nostra forza risiede nella nostra grande Tradizione Ecologica, ovvero il conservare e rafforzare il patrimonio naturale e culturale locale per competere nello scenario globale. Inseriremo l’ora dedicata all’educazione ambientale ed ecologica nei programmi didattici della scuola dell’obbligo. Rilanceremo i Campi Giovani che prevedono esperienze di formazione presso istituzioni e associazioni che a vario titolo si occupano di salvaguardia ambientale. In particolare negli ambiti urbani, favoriremo la nascita di orti urbani e l’adozione delle aree verdi e dei Parchi della Rimembranza da parte degli studenti che, ove necessario, provvederanno alla riqualificazione. Promuoveremo un servizio civile dedicato alla salvaguardia dell’ambiente.
Creeremo linee guida nazionali per la cura delle aree verdi urbane tramite l’affidamento ad associazioni e comitati locali.
Aumenteremo il verde pubblico, sia nelle città che nel resto del territorio, e creeremo le Green belt, ossia di un anello verde intorno ai centri abitati, per contribuire ad uno sviluppo urbano ordinato. Si tratta di un’idea dei conservatori inglesi: fu il Ministro Duncan Sandys, nel 1995, ad intraprendere una vera e propria azione di incoraggiamento nei confronti delle autorità locali, allo scopo di consentire la protezione dei territori intorno alle città attraverso il sistematico inserimento delle “cinture verdi” nella pianificazione urbanistica. La previsione dovrà ovviamente tenere conto delle caratteristiche geografiche, morfologiche e antropiche dei territori. La realizzazione delle Green belt contribuisce al contrasto dell’espansione urbana selvaggia e sregolata, limita il consumo di suolo e favorisce la preservazione di aree occupate da terreni agricoli, aree boschive e luoghi di svago all’aria aperta oltre che a catturare la CO2.
Legifereremo per permettere che ogni ente gestore di un Parco Nazionale provveda alla promozione di campagne di cittadinanza attiva, nell’ottica della conservazione del patrimonio boschivo, della sua manutenzione e della prevenzione e contrasto degli incendi, anche dolosi, inasprendo le pene, anche pecuniarie, per i piromani.
Da studi del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura del ministero delle Politiche Agricole, e dell’arma dei Carabinieri, la superficie forestale rilevata dall’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi forestali di Carbonio 2021 è pari a 11.054.458 ettari, di cui il 35% circa nei territori montani, ovvero circa 3.800.000 ettari. Considerato che un ettaro di foresta può assorbire tra 20 e 60 tonnellate/anno di CO2 atmosferica, in relazione alle diverse specie arboree presenti, la stima degli assorbimenti da foreste e boschi nei territori interessati dal nostro progetto è compresa tra 76 milioni e 228 milioni di tonnellate/anno di CO2. Il periodo di maggior assorbimento sarebbe corrispondente al periodo di maturazione della pianta, cioè dalla sua nascita fino alla vita adulta. L’assorbimento invece è molto basso, e quasi nullo, per alberi antichi che hanno ritmi biologici molto lenti e limitati. Secondo lo stesso studio, le foreste italiane dette “disetanee” (cioè di età arboree diverse) rappresentano la migliore gestione del territorio possibile, se messe a confronto con le foreste “omogenee” degli altri stati europei. In Italia, infatti, si gestisce il territorio boschivo non tagliando il lotto intero ma selezionando le piante più vecchie, lasciando libere di crescere quelle giovani.
Creeremo un mercato vero e proprio della gestione forestale, individuando un’area all’interno dell’inventario nazionale delle foreste, progettando un’azione come minimo decennale per la gestione del territorio e monetizzando il comportamento virtuoso – tutela e nuove piantumazioni – andando a stimare la CO2 assorbita da quella porzione di bosco, in relazione alle piante in esso contenute e gestite. La CO2 assorbita verrà monetizzata attraverso l’emissione di Crediti di Carbonio in favore del gestore del bosco, che potrà rivenderli e monetizzare sui mercati associati a questi certificati. L’operazione è conveniente anche per le casse dello Stato, visto che il movimento di questi certificati è soggetto all’Iva.
Successivamente questi crediti possono essere estesi anche ai territori destinati al pascolo (quelli agricoli già li guadagnano ma in parti molto basse), alla gestione dei corsi d’acqua e dei bacini idrici (che si è dimostrato hanno un forte accumulo e contenimento di Co2), fino alla gestione dei parchi urbani che stanno iniziando ad essere chiamati “pozzi urbani di Co2”.
Non sono solo i cambiamenti climatici e i piromani a devastare il nostro territorio. L’elevato consumo del suolo, la cementificazione, la mancata regimentazione delle acque superficiali, l’incuria e l’abbandono espongono il patrimonio naturale italiano al rischio idrogeologico.
Per tutelarlo è necessario:
– Ridurre drasticamente il consumo di suolo attraverso un’attenta regolamentazione delle attività antropiche, sia pubbliche che private, in modo da contrastare l’erosione dello spazio rurale.
– Bonificare e riqualificare i paesaggi degradati, ad esempio attraverso il riuso e la riconversione delle aree industriali dismesse, anche con la creazione di parchi solari, ricorrendo ove possibile a forme di partenariato pubblico-privato. Riqualificare il tessuto residenziale privato e il patrimonio edilizio e infrastrutturale pubblico, considerando di interesse storico ciò che è anteriore al 1939.
– Favorire la verticalizzazione (di superficie, con tutta ovvietà, solo ove questo è paesaggisticamente sostenibile), nelle aree urbane ad alta densità, e tanto più quando si tratti di trasferire nel sottosuolo attività ad elevato impatto paesaggistico (parcheggi, depositi etc). Nei centri storici, contrastare il cambio di destinazione d’uso, tutelare le specificità del paesaggio e delle attività tradizionali, anche per quanto concerne il commercio, la fruizione turistica e le loro modalità di svolgimento. Contrastare drasticamente l’abusivismo edilizio e regolamentare rigorosamente gli aspetti morfologico-stilistici e funzionali di ogni intervento edilizio.
– Rispondere all’esigenza collettiva di spazi verdi ed aree ricreative e di socializzazione.
– Valorizzare e rilanciare il paesaggio agrario, rurale, montano come testimonianza storica della forma che l’uomo, nel corso dei secoli, ha impresso al territorio.
– Recuperare l’identità culturale e le connotazioni dei siti storici, dei contesti rurali come di quelli urbani e industriali di interesse storico (chi ha dipinto i paesaggi italiani fino alla prima metà del secolo scorso che sfondi darebbe oggi alle sue opere?).
– Implementare la governance dei paesaggi culturali, patrimonio artistico e storico-monumentale dell’identità nazionale, che rappresentano non solo una fonte di benessere per le comunità, ma anche un peculiare patrimonio attrattivo (basti pensare a cosa può significare la sostituzione di un tipo vegetazionale o di una coltura, come di un cambiamento di destinazione d’uso), in grado di creare ricchezza, tanto attraverso il turismo, quanto con la valorizzazione delle produzioni tipiche.
Promuovere le applicazioni della ricerca energetica geotermica e del moto ondoso e correnti marine, promuovere in particolare eolico e fotovoltaico off-shore, con minor impatto paesaggistico; rilanciare l’operatività e la nuova captazione di energia idraulica da acque continentali, implementare la ricerca sulle bioenergie (biomassa solida, frazione biodegradabile dei rifiuti, biogas e biometano) e individuare siti di stoccaggio e trattamento puntuali e locali, incentivandone l’accoglimento da parte dei residenti attraverso benefici fiscali. Favorire impianti di compostaggio e digestori.
Promuoveremo, anche se questo esula dalle competenze statali, la chiusura del ciclo dei rifiuti con l’obiettivo di ridurli a volumi quanto più possibile prossimi allo zero, anche attraverso l’implementazione della raccolta differenziata e del sistema “porta a porta” per arrivare al principio “Meno differenzi, più produci rifiuti, più paghi”. Incentiveremo l’economia circolare attraverso la riduzione, il riutilizzo, la raccolta e il recupero di tutti i materiali, in particolar modo di quelli edili. Nell’ottica di un’efficiente chiusura del ciclo dei rifiuti, occorre dare priorità alla realizzazione dei diversi impianti di smaltimento, riconoscendone il superiore valore strategico nazionale e superando la sindrome Nimby e gli impasse burocratici, ristorando adeguatamente i comuni sui quali insistono gli impianti destinati a servire l’ambito territoriale ottimale (ATO).
Affronteremo la problematica delle plastiche utilizzate in ambito agricolo, che necessitano di specifici impianti di smaltimento e recupero, favorendo la realizzazione di impianti altamente tecnologici, all’interno dei piani di gestione dei rifiuti. Infine con riferimento al rifiuto residuo “secco” si rende necessario ricorrere a tecnologie ben più moderne, ecologiche e performanti dei vecchi inceneritori quali i pirolizzatori, i gassificatori, le torce al plasma e tutti quei sistemi che ricorrono al trattamento termico dei rifiuti indifferenziati prevedendo che i nuovi impianti per il trattamento dei rifiuti siano quanto più energeticamente autosufficienti. Incentiveremo l’uso dei prodotti biodegradabili, la diminuzione degli imballaggi e il riciclo/riuso (come il vuoto a rendere).
Promuoveremo campagne di formazione e informazione sul rispetto degli animali e sul ruolo, indispensabile, della biodiversità. Inaspriremo le pene, oggi praticamente inesistenti, per chi commette violenza nei confronti degli animali e vieteremo l’utilizzo alimentare della carne di cane e gatto, che oggi incredibilmente non viene sanzionato. Stroncheremo il commercio illegale di cuccioli e i combattimenti clandestini, riconosceremo il valore terapeutico degli animali d’affezione, promuovendo la pet-therapy, permettendo – ove possibile – il loro accesso nei luoghi di cura e riducendo l’Iva sulle prestazioni veterinarie. Promuoveremo un piano di contrasto al randagismo.
Daremo nuova forza alla difesa della biodiversità: l’Italia è il primo Paese in Europa per biodiversità con 1.300 tipi di piante e 10mila specie di animali che si trovano soltanto sul nostro territorio.
Anche per questo, la loro salvaguardia è una ricchezza. Grazie alla nuova attenzione per i parchi e le riserve, impediremo che si estinguano le circa 240 specie, animali e vegetali, a rischio, a partire dalle api e dagli insetti impollinatori. Tenuto conto del ruolo di questi ultimi nella sopravvivenza del genere umano e dell’ecosistema, incentiveremo tutte quelle iniziative volte alla riduzione dei fattori che ne mettono a rischio la conservazione (ad esempio, limitare l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi tramite tecniche di precisione non solo in agricoltura ma anche nel vivaismo)e realizzeremo campagne di sensibilizzazione sulla tematica soprattutto tra le nuove generazioni. Finanzieremo bandi nazionali e locali rivolti alle pubbliche amministrazioni al fine di piantumare all’interno delle città piante amiche degli impollinatori, che ne rafforzino le difese contro malattie e stordimenti dovuti all’urbanizzazione eccessiva (le cosiddette “vie delle api”). Per quanto riguarda la figura dell’apicoltore professionista, istituiremo specifici percorsi di studio per ravvivare l’interesse verso questa professione.
Infine, saremo durissimi contro il bracconaggio, promuovendo, al contrario, la cultura rurale e le attività che ne sono portatrici.
I nostri ecosistemi soffrono di numerose alterazioni, soprattutto a causa dell’aumento dell’inquinamento di acqua, aria e suolo, ma anche per l’invasione di specie vegetali e animali alloctone e un trentennio di conservazionismo “a senso unico” che ha messo da parte il ruolo dell’uomo nel mantenere l’ambiente in equilibrio.
Oggi, infatti, il problema delle specie faunistiche in esubero, alcune delle quali nocive (nutrie, piccioni, cormorani, cinghiali, ratti ecc…), sta producendo notevoli danni non solo alla biodiversità, ma anche all’agricoltura, all’economia e alla sicurezza della mobilità umana. È necessario, pertanto, intervenire con un apposito disegno di legge, che affronti il tema anche dal punto di vista della gestione faunistica.
Questa attenzione è funzionale, peraltro, anche all’eradicazione della piaga della peste suina, che mette in serio pericolo l’industria dell’allevamento dei maiali italiani, con conseguenze sulle nostre produzioni d’eccellenza. La visione ideologica dei precedenti governi ha provocato ritardi insostenibili nel fronteggiare questo problema, che oggi rischia di produrre un danno economico letale per il settore. Fratelli d’Italia, lo scorso 20 febbraio in Commissione Agricoltura della Camera, aveva chiesto l’apertura di un tavolo per un confronto costante con i rappresentanti di categoria, ma la nostra proposta non è stata considerata. Noi abbiamo proposte concrete per salvaguardare la filiera, attraverso l’abbattimento massiccio dei cinghiali, per ottenere ristori economici per l’intera filiera, e per puntare sulla crescita di un settore che consideriamo strategico per l’Italia.
Occorre ricordare inoltre che le nostre aree protette sono piccole e questo significa che l’unico modello da perseguire è quello della gestione della fauna selvatica nel senso dell’equilibrio e della convivenza armonica.
Conservare la fauna vuol dire partire da un’analisi reale della situazione attuale e non da improbabili utopie che considerano l’uomo alla stregua di un timido ospite.
Da circa trent’anni a questa parte il contesto socioeconomico ed ambientale è mutato: sono pertanto necessari opportuni aggiornamenti e necessari adeguamenti alle diverse esigenze di corretta gestione del patrimonio faunistico e degli habitat naturali. La prima azione dovrà essere quella di rivedere il portato normativo a partire dalla legge 157/92, ormai obsoleta, e adeguarla rispetto al contesto attuale per combattere i molteplici danni provocati dalla fauna selvatica all’agricoltura e gli effetti negativi sulla salute e sulla mobilità.
A ciò si aggiunge la necessità di salvaguardare la cultura rurale e tutte le attività che ne sono portatrici, per preservare l’equilibrio dell’ecosistema e il rapporto tra uomo e natura.